“Ma si può oggi che la comunicazione è cambiata, i linguaggi trasformati con essa, vietare a dei professionisti l'uso di uno strumento come internet e le sue applicazioni?” (http://www.facebook.com)
Il presidente dell’AIA Nicchi ha emesso in questi giorni una circolare che vieta agli arbitri di utilizzare internet per fare dichiarazioni relative alla propria professione: bandite le comunicazioni tramite e-mail o siti personali, la partecipazione a gruppi di discussione (Facebook) mailing list, forum, blog o simili. A motivo del divieto la necessità di evitare situazioni che possano mettere in imbarazzo la classe arbitrale: la decisione è legata alla vicenda dell’ex arbitro Paparesta, ormai sospeso dall’incarico, che aveva pubblicato sul suo blog estratti di intercettazioni telefoniche relative a Calciopoli.
Appena uscita la notizia del divieto, il blog di Paparesta si popola di commenti a sostegno dell’ex arbitro che grida “Sì al fischietto…No al bavaglio” invitando i suoi sostenitori e colleghi a continuare ad esprimere la propria opinione in rete, e il suo gruppo su Facebook raggiunge i 1700 iscritti.Una sonora reazione popolare fa eco alla decisione di Nicchi perché il divieto in questione tocca un diritto di tutti, a prescindere dalla propria professione: la libertà di esprimere la propria opinione.
Ci si chiede dunque: se oggi internet è il mezzo più potente per dar voce alla società, e gli arbitri sono delle figure professionali strettamente collegate al tessuto sociale, se non altro per il coinvolgimento emotivo legato al calcio, a che pro bloccare la comunicazione tra i due mondi?
La piazza virtuale dà costantemente prova di essere terreno di mediazione e supporto tra linguaggi, competenze, punti di vista. La comunicazione in questa piazza è trasversale a tal punto da sdoganare luoghi comuni vecchi come il mondo: l’arbitro, figura notoriamente poco amata, ha un gruppo di migliaia di fan su facebook alla stregua di un cantante rock. Se questo mondo porta con sé degli eccessi, da contenere e misurare, ancora di più produce risorse che vanno convogliate nei giusti canali: solo così il flusso della nuova comunicazione continua scorrere, senza straripare.
Il presidente dell’AIA Nicchi ha emesso in questi giorni una circolare che vieta agli arbitri di utilizzare internet per fare dichiarazioni relative alla propria professione: bandite le comunicazioni tramite e-mail o siti personali, la partecipazione a gruppi di discussione (Facebook) mailing list, forum, blog o simili. A motivo del divieto la necessità di evitare situazioni che possano mettere in imbarazzo la classe arbitrale: la decisione è legata alla vicenda dell’ex arbitro Paparesta, ormai sospeso dall’incarico, che aveva pubblicato sul suo blog estratti di intercettazioni telefoniche relative a Calciopoli.
Appena uscita la notizia del divieto, il blog di Paparesta si popola di commenti a sostegno dell’ex arbitro che grida “Sì al fischietto…No al bavaglio” invitando i suoi sostenitori e colleghi a continuare ad esprimere la propria opinione in rete, e il suo gruppo su Facebook raggiunge i 1700 iscritti.Una sonora reazione popolare fa eco alla decisione di Nicchi perché il divieto in questione tocca un diritto di tutti, a prescindere dalla propria professione: la libertà di esprimere la propria opinione.
Ci si chiede dunque: se oggi internet è il mezzo più potente per dar voce alla società, e gli arbitri sono delle figure professionali strettamente collegate al tessuto sociale, se non altro per il coinvolgimento emotivo legato al calcio, a che pro bloccare la comunicazione tra i due mondi?
La piazza virtuale dà costantemente prova di essere terreno di mediazione e supporto tra linguaggi, competenze, punti di vista. La comunicazione in questa piazza è trasversale a tal punto da sdoganare luoghi comuni vecchi come il mondo: l’arbitro, figura notoriamente poco amata, ha un gruppo di migliaia di fan su facebook alla stregua di un cantante rock. Se questo mondo porta con sé degli eccessi, da contenere e misurare, ancora di più produce risorse che vanno convogliate nei giusti canali: solo così il flusso della nuova comunicazione continua scorrere, senza straripare.
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