Si sente spesso parlare ultimamente di "ego-surfing",
ovvero l'atto di inserire il proprio nome sui motori di ricerca per
vedere quali risultati sono associati ad esso. Si tratta di un
atteggiamento tipico dell'utente nato nell'era di internet, e diffusosi
ulteriormente con l'avvento dei social network, che ha messo alla portata di tutti la conoscenza dell'identità digitale dei singoli individui.

Tuttavia,
la tendenza ad utilizzare i motori di ricerca per indagare sul proprio
conto non riguarda solo le società o i liberi professionisti, ma i
comuni individui, che stanno acquisendo ogni giorno di più la
consapevolezza di quanto la propria identità digitale rappresenti il
loro primo biglietto da visita, sia in contesti professionali che nelle
relazioni personali.
Monitorare la propria immagine on line è dunque un'ottima abitudine, se ci aiuta a capire come migliorare la nostra identità digitale, quali aspetti risolvere e quali potenziare.
Ma è importante anche fare attenzione ai risvolti psicologici del fenomeno, l'ego-surfing può diventare una vera e propria ossessione per alcuni.
Monitorare la propria immagine on line è dunque un'ottima abitudine, se ci aiuta a capire come migliorare la nostra identità digitale, quali aspetti risolvere e quali potenziare.
Ma è importante anche fare attenzione ai risvolti psicologici del fenomeno, l'ego-surfing può diventare una vera e propria ossessione per alcuni.
Un
caso degno di nota, che fa riflettere sui risvolti psicologici di
questa abitudine, è quello di Alessandro Piperno, autore di Pubblici Infortuni (Milano, Mondadori, 2013) e Inseparabili. Il fuoco amico dei ricordi
(Milano, Mondadori, 2012), per citare le sue opere più recenti. Lo
stesso scrittore confessa di essere stato dipendente in modo patologico
dall'ego-surfing, e di essersi rivolto ad un'analista per
risolvere quello che credeva essere un atteggiamento normale per un
personaggio pubblico, ma che in realtà stava diventando un serio
problema.
Piperno scrive sull'inserto "La Lettura" del Corriere della Sera: «Era la primavera del 2006 quando presi atto che qualcosa dentro di me si
stava squagliando. Dopo le prime settimane, in cui mi ero limitato a
cercare sul web commenti positivi sul mio romanzo, l’ossessione aveva
preso una nuova forma che non stento a definire dostoevskijana. Ormai i
giudizi lusinghieri non mi interessavano più: ero avido di insulti,
improperi, sarcasmi capziosi e gratuiti; ero in cerca di piccoli forum
dedicati alla mia insulsaggine. E quando li scovavo, mi lasciavo andare a
sentimenti pericolosi, in bilico tra voluttà e disperazione. Ansioso,
ne parlai al mio analista. Il quale si mostrò tanto preoccupato quanto
sollecito. Stilò un programma di rieducazione, che andava dal divieto di
tenere acceso il modem durante il giorno, all’obbligo di fare una
passeggiata ogni volta che sentivo l’esigenza di colmare, con contumelie
e insulti, il mio vuoto interiore. Fu così che intrapresi un cammino di
disintossicazione. Mi immaginavo in un gruppo di sostegno composto da
autori esordienti affetti dalla stessa sindrome: "Buonasera, mi chiamo
Alessandro Piperno, sono un ego-surfer…". E loro tutti in coro: "Buonasera, Alessandro!"».
Di certo l'ego-surfing,
inteso nelle sue manifestazioni più paradossali e ossessive, si
configura come una delle conseguenze negative dell'era digitale, come il
cyber-bullismo o la diffamazione online. Tuttavia, la giusta dose di
curiosità e la consapevolezza di essere presenti sul web assicura la
tutela della propria identità e dei contenuti visibili ad essa
associati, qualora permetta di scoprire la presenza del proprio nome in
contenuti impropri o mal posizionati sui motori di ricerca.
Dunque, come per ogni cosa, meglio non esagerare, evitando che l'uso di internet degeneri nei suoi risvolti più negativi, sfociando in quanto ha scritto Andrew Keen in The Cult of the Amateur: «I
blogger? Sono solo narcisisti digitali. Il web partecipativo? Milioni e
milioni di scimmie esuberanti che stanno dando vita a una foresta
infinita di mediocrità. Google? La versione 2.0 del Grande Fratello.
Wikipedia? Un’enciclopedia fatta da ignoranti per ignoranti... Si sta
imponendo una cultura del narcisismo digitale in cui si utilizza
Internet per diventare noi stessi le notizie, l’informazione».
Ovviamente si tratta di una provocazione portata alle estreme
conseguenze. Al contrario un uso virtuoso dell'ego-surfing puo'
risparmiarmi una serie di problemi, e garantirci molte opportunità di
migliorare la nostra reputazione on line.
Nessun commento:
Posta un commento